Sibilla

Camera singola comfort

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WELCOME DRINK

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COLAZIONE SERVITA IN CAMERA

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FREE WI-FI

FINESTRA

FINESTRA

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BAGNO IN CAMERA CON DOCCIA CROMOTERAPICA

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CASSAFORTE

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ARIA CLIMATIZZATA

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ASCIUGACAPELLI

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LINEA CORTESIA

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KIT SOLARIUM (TELO, ACCAPPATOIO E CIABATTE)

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Giardino comune panoramico con ingresso esclusivo, attrezzato con tavoli, sedie e sdraio con zona solarium e colazione.

APPENDIABITI

STAND APPENDIABITI

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TV ULTRA HD SCHERMO PIATTO

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FREE MINIBAR

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COLLEGAMENTO TELEFONICO DI SERVIZIO CON LA RECEPTION

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SERVIZIO LAVANDERIA

La Sibilla era una sacerdotessa direttamente ispirata dalla divinità, consacrata al Dio Apollo. Era ritratta come una giovane e bella fanciulla oppure come una donna priva di grazie, ma predisposta all’arte divinatoria. Aveva il dono della preveggenza, cioè di vedere in anticipo un evento e di indicarne l’esito positivo o negativo, riportandone gli enigmatici verdetti. Le sue parole, dalle non semplici interpretazioni, rappresentavano il responso più complesso e temuto dalle popolazioni greco-romane, che attribuivano alla Sibilla un forte potere decisionale, la sua parola era sacra e inviolabile.

Amava ritirarsi in grotte e antri scavati nella roccia, lontani dal clamore. La sua dimora sotterranea era un ambiente ricco di suggestioni spirituali, con fiaccole predisposte in ogni angolo che illuminavano l’ingesso ai visitatori permettendo loro di raggiungere il cuore dell’antro. Prima di profetizzare il suo responso, compiva un rituale, incamminandosi lungo le tre grandi vasche presenti nella grotta e immergendosi nelle acque.
Compiuta la cerimonia si sedeva sull’alto trono e interrogava l’oracolo;  il verdetto finale era emesso e riportato su foglie di palma, mosse poi dal vento suscitato da Apollo. Gli oracoli, redatti in greco sulle foglie, componevano i celebri Libri Sibillini che rappresentavano i volumi più elevati dell’antichità, che preannunciavano eventi futuri. 

Nella leggenda della Sibilla Cumana, si narra che il Dio Apollo si innamorò a prima vista della bella fanciulla e le promise che avrebbe esaudito ogni suo desiderio.
Sibilla prese un pugno di sabbia dalla spiaggia e chiese ad Apollo di lasciarla vivere tanti anni quanti i granelli che aveva nella sua mano. Il Dio l’accontentò ma la fanciulla si dimenticò di specificare di voler vivere in eterna gioventù. La sua dimora fu Cuma, scelta come luogo meditativo per poter officiare l’arte divinatoria. Lei invecchiò sempre di più in anno in anno, Apollo per preservarla, la collocò in una gabbietta all’interno dell’antro, finché di lei non rimase che la voce. La leggenda vuole che solo un pugno di terra natia avrebbe spezzato l’incantesimo che le avrebbe permesso di morire in pace.

La Sibilla Cumana è stata la figura più influente della storia antica grazie all’Eneide di Virgilio, richiamando l’attenzione degli Imperatori romani e dei nobili patrizi, che raggiungevano l’Acropoli di Cuma per interrogarne gli oracoli.  Cuma divenne il nucleo religioso di tutto l’Impero romano, meta di pellegrinaggi e di fasti antichi.

Ai versi sibillini potevano accedere però solo alcuni membri sacerdotali legati al culto di Apollo ed erano custoditi gelosamente nel tempio di Giove Capitolino. L’introduzione e l’uso in Roma dei libri sibillini è la più antica prova dell’influsso ellenico penetrato in Roma dall’Italia meridionale e precisamente da Cuma.  Questi volumi, bruciarono nel tragico incendio del Campidoglio dall’83 a.C. I libri successivamente furono ricomposti, insieme con tutti gli oracoli presenti nella Magna Grecia e collocati dallo stesso Imperatore Augusto, nel tempio di Apollo sul Colle Palatino; sorvegliati fino al IV sec. andarono distrutti dal Generale romano Stilicone. Secondo un’altra leggenda, i Libri Sibillini furono presentati a Tarquino Prisco dalla Sibilla in persona, chiedendo un compenso per i nove volumi. Questo rifiutò l’offerta in quanto costosi; lei a quel punto bruciò i primi tre libri e poi altri tre, finché il re, considerandone la preziosità, comprò gli ultimi tre al prezzo di nove. 

I versi sibillini avevano la caratteristica di essere acrostici sia per un motivo mnemonico sia per garanzia d’inalterabilità. Il loro tenore era volutamente oscuro e generico, tale da poter essere adattato alle più varie circostanze, soprattutto in occasione di pubbliche calamità naturali o sociali, affinché suggerisse il modo di placare gli dei, restaurando così la pax deorum.