Le origini

Sant’Andrea del Pendolo:
vicende storiche dalla chiesa a Villa Barluzzi

La chiesa di sant’Andrea sorgeva nel settore orientale della città di Ravello, lungo le pendici del colle calante verso Minori, nel rione Pendolo, il cui toponimo indicava un terreno scosceso, digradante da un monte e coltivato in genere a terrazze.
Nel 1145 ne era rettore Giovanni Carissi, coinvolto nella vicenda relativa ad una terra situata vicino alla chiesa, acquistata da Ursone de lu Pendulo, per la quale venne proposto ricorso al re Ruggero II a Palermo.
Nei pressi della chiesa, come per la vicina san Matteo, dovette formarsi un agglomerato di case, costituite da diversi ambienti, alcuni in comune come cortili, cisterne e forni, detto convicinio, mentre, accanto ad essa, nel 1535, esisteva una casa terranea scoperta con un piccolo giardino conosciuto con il nome: “la corte di Santo Andrea”.
Nel 1549, nella chiesa risultavano tre altari, collocati in corrispondenza delle absidi, dei quali quello centrale conservava il dipinto raffigurante la Vergine al centro ai santi Andrea e Nicola, mentre i due laterali erano privi di immagini sacre. Negli stessi anni, sembrerebbe attestata anche l’esistenza di una cripta, che aveva accesso esterno, mediante una porta separata dalla chiesa.
Una cappella dedicata a Santa Maria era stata costruita nella chiesa verso la fine del Quattrocento, risultando beneficiaria anche di una donazione cui era tenuta Mendola Flaibolo, che nel 1497 venne liberata da tale obbligo dal vescovo Cosma Setaro.
Per ciò che concerne la prassi liturgica, il Capitolo della cattedrale di Ravello era tenuto a cantarvi i vespri e la messa nelle vigilie e nelle festività di Sant’Andrea e san Nicola, quest’ultima a seguito dell’annessione del beneficio di san Nicola a Bivara. In queste occasioni, veniva preparata una libbra di cera per la chiesa e il pane da distribuirsi ai poveri.
Il 27 ottobre 1577, nel corso della visita pastorale effettuata dal vescovo di Ravello Paolo Fusco, il luogo di culto era affidato a Don Andrea Fusco, succeduto al beneficiato Paolo Furno, con l’onere della celebrazione della messa dominicale.
Nell’altare maggiore era ancora attestato il grande dipinto raffigurante la Vergine e i santi Andrea e Nicola, un nuovo panno d’orpello con l’immagine di sant’Andrea, tre tovaglie, due nuovi candelieri lignei, un paramento completo per la celebrazione delle messe, un nuovo messale. In quell’occasione non vennero trovati il calice d’argento con la patena perché erano stati portati a Napoli per il restauro. Nel luogo sacro si trovavano, ancora, il fonte per l’acqua benedetta, il tintinnabolo, nel quale era collocato il campanello per l’uso liturgico, e un pulpito sorretto da piccole colonne. L’edificio era dotato anche di due campane, mentre altri due altari risultavano privi di ogni paramento.
Nel corso della Visita, non essendo stato possibile rilevare gli oneri antichi di messe e su quali redditi dovessero gravare, veniva ordinato al beneficiato di celebrare una messa annuale per le anime dei fedeli defunti e un anniversario derivante da un censo di quattro carlini trasferito dalla chiesa di santa Maria ad Lao, corrisposto da Colapietro Coppola, detto Varricchio, e dai suoi fratelli.
Il patrimonio del luogo di culto era costituito da entrate provenienti da censi e canoni gravanti su proprietà immobiliari e dai beni di cui era direttamente proprietario, a partire da un castagneto con querce, situato nella località ravellese conosciuta con il nome “A la grotta de lo Iacono”, dal quale percepiva un canone annuale di 10 carlini e due moggia di castagne.
Altri castagneti di pertinenza di Sant’Andrea del Pendolo erano situati nel luogo “Acqua Sabucana” di Ravello e nelle località Figlino e Cesarano di Tramonti, quest’ultimo appartenente alla chiesa già dal 1275.
Nel concludere la visita canonica, il presule Paolo Fusco ordinava al cappellano di non interrompere la celebrazione delle messe e degli anniversari e, sotto pena di scomunica, di provvedere all’installazione di un confessionale per la celebrazione del sacramento della penitenza e all’acquisto di un crocifisso ligneo dorato per l’ornamento e le necessità liturgiche della chiesa.
Agli inizi del XVII secolo, il parroco di sant’Andrea del Pendolo era Giovanni Andrea de Fusco, cui nel 1602 veniva ordinato di riparare il tetto della chiesa perché non vi piovesse all’interno, ma due anni dopo non risultava compiuto alcun intervento. Per tale motivo, sotto condanna del doppio della pena stabilita in precedenza, si ordinava al parroco di non celebrare nell’altare maggiore con lo scomodo altare portatile utilizzato fino a quel momento, perché a mala pena vi si poteva collocare il calice con l’ostia. Le ampolline di stagno dovevano essere sostituite da quelle in vetro e occorreva intervenire sulle pareti invase dalle radici. Per l’altare collocato vicino a quello maggiore era prescritta la demolizione o il restauro con la connessa dotazione dell’arredo liturgico.
Nel 1609, alla chiesa parrocchiale di sant’Andrea del Pendolo venne unita quella di santa Maria de Lago, che si trovava sotto il santuario dei santi Cosma e Damiano, a causa della vicinanza delle due comunità e per l’esiguo numero di parrocchiani. Con la nuova unione, sant’Andrea ne incamerava i diritti e le rendite, con l’onere della presentazione di una libbra di cera bianca lavorata il 15 agosto di ogni anno alla Mensa episcopale di Ravello in segno di obbedienza.
Negli stessi anni, inoltre, per la vicinanza con la chiesa parrocchiale di san Matteo del Pendolo, di cui il parroco di sant’Andrea era vicario, si celebrava alternativamente ogni settimana in una delle due chiese, fino a sancirne l’unione confermata nel 1617, quando ne divenne curato Don Pompeo Manduca.
Nello stesso anno, la chiesa necessitava di urgenti accomodi aggravati dalle condizioni della volta, per cui si richiese il supporto dei parrocchiani. Parimenti, occorreva riparare il campanile affinché vi si potessero collocare le campane, ma nel 1621 gli interventi non risultavano ancora compiuti.
Nel 1636, anno della visita canonica compiuta dal vescovo Onofrio del Verme, la chiesa presentava un solo altare ornato secondo le norme, ma occorreva chiudere una finestra esistente sulla parete retrostante l’altare e tutte le altre aperture presenti nel luogo sacro.
L’edificio richiedeva nuovamente urgenti interventi di manutenzione, per i quali venne ordinato che si procedesse rapidamente alla riparazione del tetto, delle mura e delle porte, stabilendo, in caso di inadempienza, il trasferimento delle celebrazioni nella vicina chiesa della santissima Annunziata. Il campanile, in forma di torre, presentava due campane, non era presente la sagrestia e l’onere delle celebrazioni era ripartito alternativamente con la chiesa di san Matteo del Pendolo.
La tenuità delle rendite e il numero esiguo di parrocchiani non consentirono la riparazione della chiesa, al punto che nel 1643 veniva ordinato al nuovo economo, Valerio Mosca, di istituire una tassa e di utilizzare il ricavato per la riparazione e per la costruzione di un nuovo confessionale.
Veniva prescritto, inoltre, di costruire un nuovo altare entro dieci giorni e al centro del luogo di culto era presente il tumulo destinato alla sepoltura dei parrocchiani.
Tra gli oggetti di uso liturgico registrati nel 1643 erano presenti un calice antico con patena e un altro appartenente alla chiesa parrocchiale di san Matteo, due pianete rosse, quattro candelabri dorati, quattro vasi con fiori di seta per la decorazione dell’altare e due carteglorie.
È possibile che le migliori condizioni di stabilità dell’edificio, nonostante le ataviche riparazioni da compiersi, consentissero alla chiesa di sant’Andrea, ancora fino alla fine del XVII secolo, di esercitare anche le funzioni parrocchiali previste nella vicina chiesa di san Matteo.
Nel 1694, nella chiesa, oltre a quello maggiore ben conservato, risultava edificato anche un altare sormontato dal quadro dei santi Cosma e Damiano, a testimonianza della giurisdizione che la parrocchia di Sant’Andrea aveva anche sull’antica chiesa dei santi Medici, oggi santuario diocesano.
Agli inizi del Settecento, occorreva intonacare e biancheggiare il muro perimetrale della chiesa, riparare la porta per chiuderla meglio, chiudere due finestre accanto all’altare, che nelle giornate ventose provocavano disturbo alla celebrazione. Era necessario, inoltre, realizzare un muro per impedire ai confinanti di accedere al tetto della chiesa.
Nel 1710, sant’Andrea del Pendolo potrebbe aver accolto anche l’affresco con l’immagine di san Matteo e le ossa dei morti, trasferiti dall’omonima chiesa a seguito della sua profanazione determinata dal pericolo di crollo. A seguito del restauro curato dai fedeli, avvenuto tra il 1718 e il 1719, il luogo di culto assumeva anche il titolo di santa Maria delle Grazie.
Così, a causa del pavimento sconnesso e dell’umidità che aveva provocato ingenti danni alle pareti, il vescovo Nicola Guerriero nel 1718 aveva ordinato che la cura parrocchiale di sant’Andrea venisse trasferita nella restaurata chiesa di san Matteo fino a quando non fossero stati realizzati i lavori di manutenzione.
Il mancato restauro condannava l’edificio al progressivo abbandono, al punto che nel 1726 venne interdetto l’altare, ordinata la demolizione della porta e la collocazione di una croce in memoria. La minaccia di simili provvedimenti generò un nuovo restauro, con conseguente rinvio degli ordini stabiliti in precedenza.
Con il definitivo trasferimento delle celebrazioni a san Matteo o santa Maria delle Grazie, confermato negli anni Trenta del Settecento, la chiesa di sant’Andrea del Pendolo non fu più utilizzata per la vita parrocchiale, ma conservò ancora per alcuni decenni il titolo parrocchiale.
Agli inizi del XIX secolo, risultava ormai diruta e se ne vedevano le vestigia rappresentate dalle mura perimetrali, dall’atrio coperto e dal campanile, mentre le tre navate della chiesa erano scandite da pilastri in fabbrica.
Per quanto riguardava la vita parrocchiale, agli inizi del XIX secolo, il numero dei fedeli ammontava a circa 170 anime e la rendita annuale era di circa 52 ducati. Di questi, 32 erano possidenti, 1 prete, 37 contadini “addetti alle fatiche della campagna”, 4 pescatori e 4 artisti “con i loro domestici”.
Erano questi, però, gli ultimi istanti di vita della comunità parrocchiale di S. Andrea del Pendolo, perché nel 1812 venne riconfigurato l’intero assetto ecclesiastico della città.
Già dal 1810, infatti, il Ministro del Culto, Francesco Ricciardi, aveva ordinato il piano di riduzione delle parrocchie della Diocesi di Ravello, vacante dal 1804 per il trasferimento del vescovo Silvestro Miccù alla sede di Amalfi.
Il successivo 25 ottobre, il Vicario Capitolare di Ravello Francesco Mansi giungeva alla soluzione definitiva, elaborando un piano che avrebbe inquadrato i 1300 abitanti della Città in quattro parrocchie. Un numero necessario a causa della «situazione del luogo montuoso, delle abitazioni disperse, e per più miglia tra loro distanti e delle strade disastrose».
Vengono così confermate la parrocchia della Cattedrale con le annesse di San Giovanni del Toro e una porzione dei parrocchiani di S. Andrea del Pendolo, cioè «tutti quelli che abitano nelle vicinanze della chiesa diruta di S. Andrea del Pendolo e della Madonna delle Grazie fino al luogo detto Portadonica».
La Parrocchia di San Pietro alla Costa venne unita a quella di S. Giovanni alla Costa e avrebbe avuto giurisdizione sul «resto dei figliani di S. Andrea del Pendolo, cioè quelli che abitano la contrada di San Cosimo, da sotto Portadonica fino a Castiglione».
La deliberazione definitiva del Ministro del Culto Francesco Ricciardi, dell’11 luglio 1812, determinava, così, la soppressione delle parrocchie di S. Martino e di S. Andrea del Pendolo, per le quali, dopo qualche anno, il Comune di Ravello propose l’utilizzo come cimiteri, nell’attesa della realizzazione del pubblico camposanto.
L’area sulla quale sorgevano i ruderi dell’antica chiesa di sant’Andrea, che misuravano 110 metri quadri, e altri due fabbricati rurali contermini, di proprietà della prebenda parrocchiale di San Pietro alla Costa, vennero acquistati con atto notarile del 28 luglio 1926 del notaio Michele Fiorentino di Amalfi da Maria Anderson, moglie dell’ingegnere e architetto pontificio Giulio Barluzzi (1878-1953).
A seguito di successiva permuta con Luigi Sorrentino, stipulata il 22 settembre 1932 dallo stesso notaio Fiorentino, al patrimonio immobiliare si aggiunsero anche un pertinente vigneto di 180 metri quadri e un frutteto di 27.
I ruderi dell’antico luogo di culto vennero adibiti a struttura abitativa e la nuova residenza Barluzzi ebbe l’onore di ospitare, dal 24 febbraio al 5 marzo 1950, il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, nel suo soggiorno a Ravello in forma strettamente privata.

Atto di Acquisto dell’antica Chiesa di Sant’Andrea del Pendolo:

Notaio Michele Fiorentino di Amalfi
Data dell’atto: 28 luglio 1926, registrato il 18 agosto 1926, n. 73

Permuta vigneto e frutteto adiacenti all’edificio
Notaio Michele Fiorentino di Amalfi
Data dell’Atto: 22 settembre 1932, registrato l’8 ottobre 1932, n. 146.

Ricostruzione storica curata dal dott. Salvatore Amato – Archivio di Stato di Salerno.

Testimonianze fotografiche d’epoca originali del rudere della Chiesa di Sant’Andrea del Pendolo e dei lavori di ristrutturazione ad opera di Giulio Barluzzi, che la trasformarono nell’attuale straordinaria residenza dopo l’acquisto da parte della nota famiglia di fotografi inglese Anderson, operante in Roma.

Stampo d’epoca originale esclusivo di Villa Barluzzi